Patrizia
La mia voce è “solo” quella di un genitore; e allora, io devo parlarvi di come la resilienza sia possibile, auspicabile e addirittura necessaria, partendo dall’esperienza di maggior sofferenza, e più terribile, che possa toccare a un genitore: quella di vedere la propria figlia, il proprio figlio, soffrire, chiudersi, spegnersi, rifiutarsi, rifiutare il cibo, la vita, e rifiutare ogni aiuto a lottare per essa.
In questa situazione, è fortissima la tentazione per noi genitori a lasciarsi travolgere dallo stesso vortice che porta la persona malata all’annullamento di sé , quasi come se la liberazione da se stessi portasse anche ad una liberazione dal dolore, dalle ossessioni, dalle paure; ci si fa trascinare in un circuito malato, che ci risucchia verso un tunnel sempre più buio, del quale non si riesce ad intravedere via d’uscita.
Quasi ci si sente in colpa se ogni tanto alziamo la testa, e ci facciamo trasportare da quella forza della vita che riesce ancora a farci sorridere, che ci fa godere di una bella giornata di sole, di una musica che arriva alle nostre orecchie e ci fa emozionare, mentre lui/lei, è lì, magari a pochi passi da noi,nella propria stanza, a fissare il muro, vuoto come il riflesso dei suoi occhi, oppure persa a sminuzzare il cibo nel piatto o di là, nel bagno, a tentare di liberarsi almeno per qualche attimo delle sue schiaccianti ossessioni.
Ecco: come si fa in una di queste situazioni che noi genitori purtroppo conosciamo bene, a “rialzare la testa”, senza sentirsi colpevoli per questo, ma anzi, nella consapevolezza che è necessario, indispensabile per noi e per nostra figlia/o?
Forse vi farò sorridere o forse vi deluderò per la banalità della mia risposta: si fa, respirando. Noi non ci rendiamo conto, ma quando viviamo qualcosa che ci mette profonda angoscia, ansia, paura, tratteniamo il respiro, abbiamo l’affanno, il fiato corto.
Allora, permettiamoci di respirare, di riprendere fiato, di sospirare anche, se ci viene da sospirare, e forse, di singhiozzare.
In questo riprendere fiato ci sta tutto: la riconciliazione con noi stessi, l’ascolto delle nostre esigenze come persone, come esseri umani, il concedersi una pausa dall’affanno, il darsi tempo e dare tempo al cervello di riossigenarsi per pensare meglio. Ma anche, il concedere a nostra figlia una pausa di silenzio, una pausa in cui non debba sentire il nostro respiro affannoso addosso, non debba sentire la responsabilità anche della nostra sofferenza: perché se la sua malattia ha bisogno di questo, perché se forse si è ammalata per questo bisogno di attenzione e di preoccupazione intorno, di far soffrire chi può averla fatta soffrire, una parte di lei però non lo vorrebbe, e, anzi, lo detesta, e si detesta ancora di più per questo.
D’altra parte, io ho imparato che se ho male, un male fisico, ad una parte del corpo,una mano, una gamba,un piede, per esempio, non sempre concentrandomi unicamente su quel dolore, e su quella sola parte del corpo, riesco a guarire o almeno a migliorare; spesso, per estirpare il male, devo fare un lavoro diverso, di rinforzo della muscolatura dalla quale quella parte dipende: e bisogna lavorare molto anche sul pensiero, sulla concentrazione, sull’accettazione che questo potrà essere un lavoro lungo, e faticoso e impegnativo, ma che non c’è altro modo per affrontare positivamente quel male.
Allora, se il benessere generale del corpo necessita di un impegno globale e passa attraverso il benessere di ogni sua singola parte; e se i membri di una famiglia sono legati gli uni agli altri come le parti del corpo, la stessa regola vale anche per la famiglia. Per aiutare un familiare ad uscire dal suo male, per rinforzare le sue difese, la sua capacità di affrontare e confrontarsi con le sue debolezze, bisogna lavorare“di rinforzo” anche sulla famiglia e rinforzare anche noi stessi come persone: bisogna concedersi di respirare.
Piano, piano, respiro dopo respiro, potremo anche concederci di uscire di casa, di fare due passi da soli, magari di invitare il nostro compagno, la nostra compagna, a camminare con noi, senza una meta, solo per il piacere di passeggiare; oppure fare quella telefonata ad un’amica che da tempo non sentiamo,accettare quel suo invito ad incontrarci, ritrovare del tempo per le cose semplici, del tempo per noi.
Perché io ho capito una cosa, in tutti questi anni in cui mi sono dovuta esercitare ad essere resiliente, anzi, diciamo, che ho scoperto “sul campo” cosa voglia dire essere resiliente: che questo percorso non lo si può fare da soli, che la predisposizione alla vita, alla positività, aiutano, e molto, ma non bastano. Perché- e perdonatemi la citazione “riadattata” di Ezio Bosso, un grandissimo uomo e artista a cui la vita ha giocato un bruttissimo scherzo, ma lui è maestro in tutto, anche e soprattutto nella resilienza– la vita, come la musica, si può fare solo in un modo: insieme.
Difatti, anche le cose che ho scritto non le ho capite da sola, ma leggendo, parlando, ascoltando, soprattutto, gli altri genitori, gli altri familiari, gli operatori, le testimonianze dei ragazzi, delle ragazze, che ci danno sempre una lezione di vita e di generosità ogni volta che decidono di parlare delle loro storie, e ci permettono di toccare , di scrutare le loro “anime”, senza sovrastrutture, senza difese.
Forse le Associazioni come la nostra rispondono a questo profondo bisogno: la resilienza, forse erano già nella nostra testa, e nel nostro cuore, prima ancora che fossero costituite.
Annalisa
Se penso al passato,
ricordo lo sgomento unito all’incredulità dei primi momenti e la sensazione di sentirsi come catapultata in una dimensione dove tutto è il contrario di tutto, dove ogni gesto, ogni parola vengono passati al setaccio, vengono analizzati e inevitabilmente male interpretati.
Si, perché allora sottovalutavo la potenza delle parole e come queste possono ferire o lenire le sofferenze. Questa mia superficialità ha alimentato tante liti, tanti scontri perché non riuscivo a capire, o forse non volevo ammettere che io per prima dovevo cambiare se volevo stare vicino a Giulia.
Ricordo la sensazione di rabbia profonda verso chi non era toccato da questo problema, l’invidia per chi continuava tranquillo la propria perfetta vita mentre la nostra esistenza si era come interrotta.
Ricordo con dolore gli occhi di Giulia, carichi di quello che sembrava odio, quegli occhi che mi accusavano di non capirla, di non amarla, di non essere in grado di dargli quello di cui aveva bisogno. Ma ancora più male fa il ricordo di quegli occhi vuoti, spenti, perché per molto tempo sono stati l’espressione della sua esistenza.
Ricordo i sensi di colpa che mi schiacciavano, mi annientavano e mi paralizzavano, ricordo le tante notti insonni passate a pensare che non esisteva via d’uscita, passate a piangere e a sperare che quasi non arrivasse il mattino.
Ricordo la solitudine profonda provata perché nessuno capiva cosa stavo passando e lo strazio di non poterne parlare con qualcuno senza dovermi subire i suoi commenti fuori luogo o peggio ancora i giudizi o gli inutili consigli.
Sono ormai passati più di 7 anni e di strada ne abbiamo fatta, ne abbiamo fatta davvero tanta.
Abbiamo lavorato su di noi, sul modo di essere genitori e di essere figli, sull’accettazione dei propri limiti, sull’importanza di perdonare e di perdonarci e abbiamo capito che la comunicazione è fondamentale in un rapporto come è fondamentale avere i propri spazi, i propri desideri,non dipendere e non pretendere, abbiamo imparato a non avere fretta, abbiamo capito “l’arte dei piccoli passi”.
Abbiamo incontrato tante belle persone che ci hanno capito,ci hanno sostenuto, ci hanno dato coraggio e speranza senza mai giudicarci.
Abbiamo incontrato medici eccezionali che con la loro carica di entusiasmo ed umanità non si sono dati per vinti e hanno combattuto insieme a noi questa battaglia che non posso ancora dire di aver vinto; questa battaglia la stiamo ancora combattendo ma adesso sappiamo che è possibile vincerla.
Stefania
Sono una mamma come tante….come tutte noi!
Attente nel quotidiano e nella sua crescita.. che non le mancasse niente…..! Ecc. Ecc..,!
Ma questo non basta..non conta Nulla! ….e le dai l’attenzione e l’affetto al massimo delle tue emozioni…!!!.ma poi succede qualcosa che non capisci.????
Allora ti chiedi il perché…il perché….poi si arriva al centro Arianna e di seguito all’Associazione la “vita oltre lo specchio ” che è una famiglia dove condividere i nostri pensieri e i nostri stati d’animo, è un grosso aiuto per noi e per i nostri figli, è un punto di incontro per andare avanti e combattere contro questo momento difficile dei nostri figli e il nostro.
Marzia
“La vita oltre lo specchio” …che dire : è il posto dove se hai bisogno di parlare perché non ce la fai più a tenerti tutto dentro trovi persone che ti ascoltano e ti capiscono e nello stesso tempo anche tu impari ad ascoltare gli altri.
E ogni volta si cresce un po’ di più dal punto di vista umano.
Cristina
La malattia di mia figlia per me è stata uno shock.
Ricordo all’inizio la mia reazione, non capivo, non ci volevo credere . La mia bimba perfetta, bravissima in tutto, ….. la mia reazione iniziale è stata di incredulità, confusione, rabbia che poi ha lasciato il posto ad un senso di frustrazione e di impotenza.
Questa non è una malattia che colpisce solo i nostri figli, colpisce tutta la famiglia. Io e mio marito ci siamo sentiti chiamati all’improvviso a sostenere un compito arduo e difficile con tanto senso di inadeguatezza.
Al Centro Arianna, dove ci siamo rivolti per mia figlia, abbiamo trovato invece un luogo dove ci siamo sentiti accolti e compresi, dove io sopratutto, ho imparato a conoscere la malattia, dove sto imparando ad affrontare le difficoltà, dove sto ancora cercando di imparare ad accettare la malattia di mia figlia senza farmene una colpa.
Nell’Associazione dei genitori invece ho trovato un gruppo di altri genitori come me, con i miei stessi timori, con le mie stesse angosce; un gruppo di persone che vivono situazioni simile alle mie e con le quali posso condividere un’esperienza, negativa o positiva, ascoltare uno sfogo, condividere uno stato d’ansia, confrontare le esperienze fatte; un luogo che mi ha permesso di uscire dall’isolamento iniziale, un luogo dove mi sono sentita accolta e compresa.
Uno spazio dove mi sono resa conto che, sia io che mio marito, non siamo soli, ma che tanti altri genitori vivono situazioni simili e che condividere i nostri stessi timori, ci aiuta ad andare avanti, con più forza.
Consapevole anche che, insieme, tutto questo ci permette di aiutare le nostre bimbe ad uscire da questa malattia.
Annalisa
La malattia di mia figlia mi ha “costretto” a guardarmi dentro e mi ha portato a rivalutare tutto il mio mondo.
Tante certezze sono crollate, tante amicizie sono svanite, la quotidianità è stata completamente stravolta e tutta la famiglia è stata fagocitata da questo turbine di controsensi che è la malattia.
Mi sono ritrovata a mettere in discussione il mio comportamento che sino a quel momento ritenevo quasi ..ineccepibile, non dico perfetto ma non avrei mai pensato di avere tante mancanze.
Purtroppo quando si danno per scontate tante cose, troppe cose, può succedere che non si faccia caso ai segnali che vengono inviati, talvolta sono segnali velati ma che un genitore attento deve saper cogliere. I tanti segnali che da tempo mia figlia mi inviava io li catalogavo come timidezza, come pigrizia, talvolta come arroganza, molto spesso come atteggiamenti tipici della fase adolescenziale, ora capisco che in cuor mio sapevo che c’era qualcosa che non andava ma preferivo ignorare e sperare che le cose si risolvessero da sole.
Invece le situazioni non si risolvono mai da sole, ci vuole impegno, amore, pazienza e tanta voglia di capire e di ascoltare l’altro; ci vuole l’aiuto di medici competenti che empaticamente ci sostengono e ci indirizzano nella giusta direzione.
La decisione di guarire spetta solo e soltanto alle nostre figlie ma noi dobbiamo esserci, dobbiamo essere al loro fianco sempre e comunque anche quando tutto sembra quasi inutile, dobbiamo esserci anche quando sembra quasi di non potercela fare.
L’associazione dei genitori è fondamentale per questo. Qui è possibile esporsi senza filtri, qui senza la paura di essere giudicati possiamo dare voce anche ai pensieri inconfessabili che qualche volta affiorano nella mente, possiamo farlo perché ci sentiamo pienamente accolti e capiti, e questo è un grande aiuto che ci consente di trovare la forza e la speranza necessari per lottare a fianco delle nostre figlie.
Maurizio
…chissà quanti sogni avrà fatto ognuno di noi genitori nel veder crescere un figlio…e quanto, dentro di se, avrà fantasticato sul suo futuro…farò di tutto, non gli mancherà niente, amore, studio, sport, pc, cellulare, denti belli e sani, insomma, il meglio che potrò offrire…eppure…eppure, qualcosa è sfuggito, qualcosa mi è passato davanti e non me ne sono accorto…ecco, da ora questo tipo di sogno si interrompe in cerca di una ragione, di un perché, di una risposta…..ti guardi intorno nella speranza di trovare tutto questo, o quantomeno una mano tesa e ti accorgi che questa mano tesa c’è, esiste…si chiama Centro Arianna…allora la afferri e ti ritrovi in una realtà dove la prima sensazione è quella di sentirsi come a casa, dove puoi parlare e condividere apertamente il tuo stato d’ animo fra tante persone che stanno vivendo il tuo stesso momento……affiancata al Centro Arianna esiste un’ Associazione, che io, intimamente, chiamo la mia seconda Famiglia, si chiama “La vita oltre lo specchio”, la ritengo fondamentale, essenziale e opportuna, la sede giusta dove cercare riparo, mettere a nudo le proprie insicurezze, ri-ossigenarsi parlando la stessa lingua…nella difficoltà di questo percorso, per me è un privilegio farne parte e avere la possibilità di camminare con tante persone belle dentro…..chiudo facendo presente che nello scrivere, ho messo sempre dei puntini che soffermano, non un punto che chiude la frase, poiché la luce dei sogni, non nostri, ma dei nostri figli, non possa essere fermata da niente………..
grazie di esistere a tutti.