Nelle ultime settimane abbiamo assistito increduli alla morte di 6 giovani donne per Disturbi Alimentari. questi tragici accadimenti impongono una approfondita riflessione e ci obbligano ad interrogarci su cosa fare e come fare per ottenere attenzione e aiuto dallo Stato, dalle Istituzioni e dalle Comunità Scientifiche perché ciò non debba ripetersi più.
Stefano Tavilla, come portavoce dell’ Associazione Mi Nutro di Vita, ha invitato tutte le associazioni e i familiari a scendere in piazza a Montecitorio per l’8 ottobre p.v. per manifestare il proprio dissenso .
Il Coordinamento Nazionale , Associazione di 2° livello di cui facciamo parte, ha pensato che sia importante dare un segno della nostra presenza, della nostra attenzione e del nostro impegno, ma che dobbiamo farlo formulando richieste precise, reiterando le istanze già svolte in maniera chiara e ferma, creando e rafforzando alleanze utili e preziose nella prevenzione e nella cura.
Questa posizione trova l’ Associazione La Vita Oltre lo Specchio pienamente concorde negli intenti e nelle azioni da intraprendere.
Anche l’altra Associazione di 2° livello Consult@noi condivide questa nostra linea d’azione, e questi inaccettabili eventi ci hanno dato l’occasione di intraprendere una sincera e fattiva collaborazione nell’obiettivo comune di ottenere una risposta efficace alle tante criticità del Sistema Sanitario.
Abbiamo quindi deciso di predisporre una lettera-Denuncia rivolta alle più alte cariche dello Stato, ai Ministeri di competenza e alle Comunità Scientifiche, in cui chiediamo di intervenire per porre fine a questo stillicidio di vite umane.
RIPORTIAMO IL TESTO INTEGRALE DEL DOCUMENTO
Disturbi alimentari: vogliamo parlare della possibilità di uscirne, non dover contare più altre vittime, nemmeno una.
La morte di giovani, giovanissime donne e anche di qualche ragazzo, vittime di anoressia o in conseguenza di altri disturbi alimentari, o per gesti estremi di chi soffriva di tali patologie, lasciano storditi e scioccati, come uno schiaffo in pieno viso, come un pugno nello stomaco.
Però le notizie, a volte non arrivano nemmeno ad essere diffuse dai TG nazionali e qualche volta vengono passate sotto silenzio anche da quelli locali, perché forse per quanto tragiche, non fanno… notizia.
E non genera reazioni neppure la denuncia delle Comunità scientifiche che indica come, dopo la chiusura e l’isolamento dovuto al Covid 19, queste malattie, così come altri disagi psicologici giovanili, siano aumentate e si siano aggravate, così come sono aumentati i tentativi suicidari.
La scorsa settimana sono state 6 le giovani vite strappate troppo presto ed in modo così inaccettabile ai loro sogni, al loro futuro e alle loro famiglie.
Che i disturbi alimentari siano un’epidemia sociale è confermato anche dal Ministero della Salute; che siano malattie lunghe, complesse, multifattoriali, che richiedono cure tempestive per evitarne la cronicizzazione, e possibilmente attraverso centri ambulatoriali, da parte di operatori specializzati che operino in team multidisciplinare è scritto nelle Linee guida, come principio convalidato e condiviso dalle Società scientifiche. Eppure, in molte province e anche in diverse Regioni non esistono ambulatori pubblici specializzati nella cura dei disturbi alimentari; e le figure dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta che potrebbero fare la differenza nell’intercettazione precoce dei disturbi e nell’invio ai centri di cura, non sono adeguatamente formate e, talora, neppure informate.
E ancora: in molte Regioni non esistono strutture residenziali pubbliche né private convenzionate, il pellegrinaggio sanitario è la triste realtà, ancora più inaccettabile e inaccessibile dopo la pandemia legata al Covid 19.
Laddove esistenti, i centri pubblici di cura sono in gravissima difficoltà, per carenze di risorse economiche e di organico che non consentono di dare risposte adeguate e tempestive alle aumentate richieste di cura.
Tutto ciò non è più sostenibile: non lo è per la memoria delle tante, troppe vittime, non lo è per le loro famiglie distrutte che lottano perché quello che è accaduto a loro non si ripeta più, non lo è per le persone malate, stigmatizzate, isolate, che la società tutta ha il dovere di curare, riabilitare, accogliere, di farne gli adulti del futuro. Non lo è per noi, associazioni di familiari, pazienti, operatori, che vogliamo portare un messaggio di speranza e costruttività, perché dai disturbi alimentari si può uscire, tutti insieme. Non vogliamo che il nostro ruolo debba invece essere solo commemorativo delle troppe persone morte.
Noi vogliamo che queste malattie vengano riconosciute per ciò che sono: non capricci, ma patologie psichiche, molto complesse, non riducibili a “fame d’amore” o a semplice desiderio di magrezza.
Vogliamo che vengano conosciute, indagate, approfondite, nel pieno rispetto delle persone che ne sono colpite, della loro dignità, della loro unicità, senza le frequenti spettacolarizzazioni, ma con tutte le attenzioni che meritano.
Investire nella prevenzione, nella cura, garantendo che in ogni Regione possano esistere tutti e 5 i livelli di cura previsti nelle linee guida, senza costringere le persone malate e le loro famiglie ad estenuanti pellegrinaggi, significa a medio e lungo termine risparmio per la sanità e arricchimento per tutta la società; perché le persone che si ammalano di disturbi alimentari conservano comunque una parte sana che è piena di potenzialità, bella e luminosa, ma va riportata alla luce e fatta riemergere dal tunnel buio della malattia.
Vogliamo che lo Stato e le Istituzioni si impegnino, insieme a noi, in questa lotta, ma abbiamo bisogno che anche i mezzi di comunicazione di massa siano coinvolti, nel dare informazioni chiare, rispettose, corrette; per abbattere gli stereotipi che associano la magrezza, specie al femminile, alla bellezza; per lottare contro il“ body shaming“.
Abbiamo bisogno che le Scuole, gli insegnanti, gli educatori ci aiutino a proporre modelli culturali diversi, dove gli uomini e le donne siano formati ed educati ad andare oltre le apparenze, oltre l’aspetto fisico e la performance, a confrontarsi sulle esperienze, sulle conoscenze, sulle capacità, sui valori, dove confronto significhi scambio e inclusione non competizione o omologazione.
Non saremo in piazza a manifestare- o almeno, non ancora, prima di aver tentato una ulteriore richiesta di aiuto e attivazione urgente- perché non può essere addossata tutta la colpa delle inaccettabili tragiche morti ad un solo responsabile, fosse anche lo Stato poco presente e poco attento a questa grave, gravissima patologia; e perché non vogliamo fare “muro contro muro”, ma abbattere i muri dello stigma e quelli che ancora ci separano nell’affrontare una battaglia che deve essere comune e non deve essere più una guerra con così tante vittime indifese e non adeguatamente protette.
Vogliamo dare il nostro contributo ed essere partecipi nel delineare politiche sanitari efficaci rispetto al problema e nel definire in maniera trasparente linee operative di appropriati interventi di cura.
Chiediamo al Ministero della Salute, a quello della famiglia, a quello della Pubblica istruzione, che si uniscano alle Associazioni di familiari, ex pazienti, operatori e alle Società scientifiche nella costruzione di un percorso di cambiamento, , che deve iniziare da qui, e deve iniziare oggi: Perché domani può essere tardi.
Posizione condivisa dall’ Associazione di 2° livello “Consult@noi”